Swat

Progetto: Ricerche archeologiche in Udegram
Sito: Udegram, Swat
Direttore scientifico: Giuseppe Tucci
Condirettore: Giorgio Gullini
Anni: 1956-1959

Tra il 1956 e il 1959 vennero organizzate, dall’allora Centro Ricerche Archeologiche e Scavi in Asia dell’Is.M.E.O e di Torino, una serie di campagne di scavo e di studio in Pakistan. Il coordinatore e direttore delle missioni era Giuseppe Tucci, il condirettore Giorgio Gullini. La missione archeologica italiana fu impegnata in Pakistan dal 1956, dopo la scelta operata dallo stesso Tucci, l’anno precedente, per la regione dello Swat che prende nome dal fiume che la attraversa e che corre a pochi chilometri dal confine settentrionale con l’Afghanistan. L’area prescelta per le attività di studio e ricerca ebbe una primaria importanza nella storia del Buddismo e per le numerose e fondamentali testimonianze artistiche ed architettoniche (stupa, monasteri, città) di cui ancora si conservava traccia.

Si scelsero due principali ambiti geografici per l’intervento sul campo: la città bassa con la fortezza di Udegram, che nel nome sembrava rievocare la Ora di Arriano conquistata da Alessandro durante la sua campagna indiana, e la valle Jambil presso Mingora con i siti di Butkara I e Panr (stupa monumentale e recinti sacri), Butkara II, Katelai, Loebanr (necropoli) e Saidu Sharif (area sacra). Gli scavi di Udegram furono condotti tra 1956 e 1959, in tre settori distinti: il primo è rappresentato dalla collina di Gogdara, forse la sede più antica dell’insediamento; il secondo dal cosiddetto “bazar” di Udegram - quartiere abitativo - e il terzo dal “castello”.

Gogdara

La frequentazione di Gogdara, forse il nucleo più antico, può essere datata tra l'età protostorica (come attestano i graffiti rupestri di Gogdara I che ritraggono prevalentemente animali) e la conquista di Alessandro. Il vicino insediamento, sulla base dell’evidenza ceramica, venne frequentato con una certa continuità tra il XII secolo a.C. ed il periodo partico.

Udegram: il “bazar”

Un settore pianeggiante più a valle ha restituito i monumentali resti di un intero esteso quartiere abitativo (Gullini lo chiamò “bazar” affinché, come scrisse Tucci, “la presenza di Alessandro alitasse intorno a noi”) datato tra la fine del IV secolo a.C. e il IV secolo d.C.

L’intento delle indagini nella città bassa era quello di “…trovare la città che i manipoli di Alessandro espugnarono, inseguire la scia dei suoi primi insediamenti fino alla conquista di Mahmud nell’XI secolo” (G. Tucci, La via dello Swat); nel caso specifico di Udegram, ci si proponeva di ricostruirne l’antico tessuto viario ed i singoli nuclei di abitazione. L’esteso quartiere cittadino venne indagato a fondo durante cinque campagne di scavo sotto la direzione del Prof. G. Gullini. Gli scavi riportarono alla luce interi isolati di abitazioni, costruite secondo un preciso piano urbanistico e raccordate da strade in terra battuta con rivestimento lastricato (scisto) e canali di scarico. Ogni blocco abitativo si può suddividere in due unità complementari costituite da un settore di abitazione e da una serie di botteghe affacciate sulla strada. L’insediamento include anche abitazioni di maggior impegno, precedute da cortili colonnati o a pilastri prevalentemente lignei.

Il “castello”

Il cosiddetto “castello” sul fianco della collina chiude a est la piana di Udegram, su di uno sperone roccioso interessato da notevoli opere di sostruzione. Anche gli scavi ed i lavori di restauro all’interno delle mura del castello di Udegram per la campagna 1958 furono diretti da G. Gullini. Lo scavo era cominciato anni prima, nel 1956, quando era emersa l’esigenza di intraprendere l’indagine sistematica dello sperone roccioso della collina di Raja Ghira a controllo della valle. La fortezza con le sue torri aggettanti garantiva da una posizione privilegiata il totale controllo sulla città sottostante e sull’intera valle. Gli scavi dei primi anni riportarono alla luce un ampio perimetro di mura, più volte ampliate e rimaneggiate, che racchiudevano un articolato complesso di ambienti, dispositivi ed installazioni che è stato interpretato quale sede fortificata della principale autorità locale. L’esplorazione preliminare dell’intero perimetro della fortezza ha portato alla scoperta di strutture rilevanti, tra le quali la monumentale rampa di accesso che sembra risalire proprio alla fase principale tra VII e X secolo: fin da subito fu dunque evidente che le operazioni di scavo dovevano essere accompagnate da necessari ed urgenti interventi di riparazione e restauro delle strutture. Tali interventi, che hanno permesso di salvaguardare le murature e di assicurarne la conservazione, sono stati progettati ed eseguiti in collaborazione con l’allora Archaeological Department of Pakistan.

Il “castello” era in comunicazione con gli altri settori della collina attraverso uno stretto crinale che poteva facilmente essere chiuso e controllato. Data questa sua favorevole posizione la fortezza fu a lungo utilizzata: essa ha restituito infatti ben diciotto diversi livelli costruttivi o fasi di utilizzo. Questa complessa stratificazione, unita alla natura fortemente scoscesa del luogo, ha certo reso difficile l’indagine scientifica che tuttavia ha permesso di ricostruire anche nel dettaglio un quadro completo della storia di questo impianto. La datazione assoluta della fortezza è nota nelle sue linee generali grazie allo studio comparato delle monete e dei resti ceramici emersi dai lavori: l’impianto più antico è forse contemporaneo al progressivo abbandono del settore della città bassa (“bazar”), ma le fasi principali di occupazione della roccaforte si collocano in epoca tarda tra VII e X secolo (cui seguirono fasi databili alla conquista di Mahmud e ai secoli XIII-XIV).

Restauro delle strutture

Durante la campagna 1958 fu considerato di primaria importanza il problema della grande rampa di accesso e del muro esterno NE a torri semicircolari. Le strutture sono costruite con blocchi di scisto posati a secco secondo la tecnica diffusa nella regione con blocchi più grandi nel nucleo delle murature tenuti assieme da pietre di dimensioni inferiori. Solo le facciate degli edifici più importanti potevano avere una più accurata rifinitura. Gli interventi di restauro hanno per prima cosa interessato l’assetto statico delle strutture cercando di colmare quei vuoti interni ai nuclei di murature, che in una simile tecnica costruttiva costituiscono il maggiore elemento di instabilità e precarietà dell’intera struttura. Laddove necessario si è ricorso anche all’inserimento di grappe di ferro. Inoltre, si è provveduto a garantire o ripristinare un adeguato drenaggio delle acque meteoriche al di fuori delle strutture. Altre murature per il loro precario stato di conservazione furono almeno parzialmente smontate, e prima di procedere al loro rimontaggio si colse l’occasione di indagare le fasi culturali precedenti, poi obliterate dai dispositivi più tardi. Nel caso della rampa scalare si accertò la presenza di un analogo dispositivo più antico, stretto e corto, al di sotto dei gradini più tardi che servì da vera e propria piattaforma di fondazione per le strutture visibili al momento dello scavo.

Questi interventi, seppure per ovvie ragioni spesso legati alla sperimentazione che contraddistingueva quei primi anni di indagini complesse e sistematiche, hanno costituito una solida base di esperienza per la conoscenza delle problematiche relative alla documentazione, al restauro ed alla presentazione finale e per la ottimale gestione dell’organizzazione del lavoro in un cantiere di scavo.